Sbagliare è umano, le imprese sono fatte da imprenditori, gli imprenditori sono umani e quindi possono sbagliare. Il punto è che nella nostra cultura - non direi solo italiana - l'errore, il fallimento, non sono così accettati. Non lo sono nella sfera personale (una bocciatura, un matrimonio fallito, un'amicizia sbagliata, ...) ma ancora meno nella vita professionale ed imprenditoriale.
Di fallimenti si è parlato il 16 novembre a Roma per "Falling to succeed", incontro organizzato da BAIA , in collaborazione con l'Ambasciata Americana a Roma , META Group e Working Capital di Telecom Italia. Nonostante siano mancati un paio degli ospiti attesi l'occasione è stata profiqua se non altro per la novità del tema. Forse la piega presa dalla discussione è andata un po' troppo verso l'argomento "star-up tecnologiche" ma meglio di nulla. Cosa è stato detto? Due cose importanti: nessun imprenditore può avere la certezza di non fare errori (Gianluca Dettori di dPixel e Gabriele Gresta di Digital Magics ci hanno raccontato quelli fatti da loro) , la società americana - come ci ha confermato l'ambasciatore USA in italia David Thorne - è più propensa ad accettare l'errore imprenditoriale come "normale". Anzi, almeno secondo l'occhio dei Venture Capital, quasi meglio un imprenditore che ha già alle spalle delle eperienze negative di uno alle prime armi.
Personalmente ritengo sia un po' mancata una riflessione che ho invece fatto tante volte: sbagliare ci sta, fa parte del gioco, ma il "come si sbaglia" è fondamentale. Un po' come dire che ci deve essere un metodo anche nel fare errori, che la possibilità dell'insuccesso va messa "a budget" e che è fondamentale avere un "piano b" come via d'uscita.