
Questo weekend l'Opificio Telecom ha ospitato la tappa romana dello Startup Weekend al quale, dopo un po' di titubanza, ho deciso comunque di partecipare. Una partecipazione non come start-up, ma come osservatore interessato. Avrei da dire molto sulle modalità di prenotazione, di pagamento della salata quota di partecipazione e su quelle di conferma, ma magari lo farò in altro post: ora non è la cosa più importante.
C'erano un bel po' di ragazzi, persino qualche ragazza (evviva!), tutti piuttosto motivati. Mi è parso fosse chiaro da subito a tutti che lo scopo non era quello di mettere in piedi una vera start-up in meno di due giorni e mezzo ma di fare una sorta di prova generale, di esperimento di convivenza e comunione progettuale. Nove in tutto le proposte rimaste "in gara" dopo la prima votazione. Molte idee strampalate, qualcuna buonina, forse un paio in grado di non essere cestinate alla prima lettura di un Venture Capital, nulla - lo dico per onestà - che mi abbia emozionato. Emozionato come imprenditore e potenziale "angel", intendo.
Devo confessare che ho fatto fatica a non unirmi ai tavoli, ma ero andato lì per osservare, capire (o almeno provarci) ed annotare. E così ho fatto. Il format della Startup Weekend è sicuramente molto migliorabile in quanto a chiarezza di informazioni, tempistica, logistica e catering (tre giorni a panini e tramezzini sempre uguali hanno ammazzato quasi tutti, anche i meno sofisticati) ma alcune notazioni positive mi sento di farle.
Durante alcuni degli interventi che hanno inframmezzato i lavori ai tavoli, si è detta la verità, o almeno più verità che in altre occasioni comparabili, sulle difficoltà di avviare e tenere in vita una startup in Italia (non che altrove sia una passeggiata, ma un pochino meno arduo forse lo è). Una verità che è stata raccontata da alcuni startupper veri (che cioè hanno già avviato la loro impresa) ed un paio di VC. Una verità che è fatta di impegni da mantenere nei confronti dei dipendenti, di percentuali di proprietà ed autonomia cedute in cambio dei finanziamenti, di cura estrema nello scegliere i compagni d'avventura e molti altri aspetti che di norma - secondo me tanto inspiegabilmente quanto colpevolmente - non vengono raccontati. Si è parlato persino di cash, quello senza il quale non si arriva lontano e nemmeno a metà strada, di sostegno necessario da parte della propria famiglia (poco importa se genitori, mogli e mariti, figli o compagni di stanza) e si è persino accennato al fatto che le start-up non sono solo ed sclusivamente quelle che operano nel web e che altri settori possono essere altrettanto se non ancora più interessanti.
Ho anche sentito dire forse per la prima volta - e per di più da Quantica - che le alleanze tra giovani startupper e PMI sono visti molto bene dai VC e possono rappresentare una modalità sana di fare innovazione ed attrarre investimenti: un po' come dire la freschezza della gioventù e la solidità della maturità, maturità anagrafica ed imprenditoriale. Dal momento che lo sostengo da un bel po' ed che da un paio d'anni, nel mio piccolo, cerco di tradurre la cosa in azione fattive, la cosa mi conforta nel continuare a farlo.
Dopo due mesi esatti di rapimento, nonostante avessimo dichiarato immediatamente la nostra disponibilità a pagare il riscatto, abbiamo saputo oggi che il nostro centralino verrà rilasciato dai rapitori oggi pomeriggio. Che un prodotto di elettronica venduto in migliaia di esemplari, prodotto dal numero uno (forse due) della telefonia da ufficio, un centralino da migliaia di euro, possa rimanere per due mesi in attesa di un alimentatore da 100 euro è una follia, eppure è successo.
Non parliamo di un prodotto "grigio" comprato chissà dove, ma di prodotto ufficiale, acquistato da distributore ufficiale con garanzia ufficiale italiana.
Peccato Panasonic, hai perso un affezionato cliente.
"Spero di vivere abbastanza per poterne usare una”. Lo pensavo ieri in macchina, bloccata nel traffico. Pochi millimetri tra una vettura e l’altra, sguardi inquieti, alcuni rassegnati altri affranti, tutti alla ricerca di una via di fuga immaginaria. Nel giro di qualche minuto il pensiero diventa sogno ad occhi aperti. Supercar deve aver seminato nella mia psiche più di quanto immaginassi. E se tutte quelle persone, inscatolate e senza prezzo in vista, non dovessero guidare?
Ho visto l’interno della supercar mutare forma. Senza più bisogno dei tradizionali comandi (cambio, volante etc) variando la destinazione d’uso dello spazio all’interno, si possono immaginare nuovi modi per abitare la propria vettura. Potremo davvero leggere un libro, guardare un film, finire un lavoro o fare un pisolino o, magari, tutte queste cose insieme se il viaggio è molto lungo, mentre la nostra super-ordinarycar ci condurrà alla destinazione prescelta. Con la stessa semplicità con cui ora si programma un TomTom. Magari solo coi tasti più grandi.
Non ci saranno problemi di sicurezza sulle strade giacché tutte le vetture saranno dotate un cervello elettronico e di opportuni sensori, capaci di interagire senza bisogno dell’intervento umano. Finora i computer non possono essere sovrappensiero, non fanno use di droghe né cedono ad un colpo di sonno e questo dovrebbe metterci al riparo da tutti quegli incidenti che accadono per distrazione o stanchezza. Si viaggerà più veloci e più sicuri e, di conseguenza, diminuirà il traffico.
Per qualcuno la parte più interessante, per altri la più inquietante, potrebbe riguardare i possibili attacchi informatici a danni di questi diffusi e pervasivi cervelli mobili, un dirottamento di massa e ipertecnologico, i cui possibili effetti potrebbero essere suggestivi per qualcuno, devastanti per altri. Tanto più potere e intelligenza instilliamo nelle macchine, tanto più diventiamo vulnerabili nei confronti di un loro possibile uso improprio o criminale. Ma sono rischi tanto futuribili quanto lontani sono i prototipi su cui Google sta lavorando dalla realtà di ogni giorno. Dalla ricerca alla diffusione nel mercato consumer, il passo non è brevissimo. Ma la scienza fa progressi rapidissimi e la rivoluzione nelle TLC ha innescato il turbo nei tempi dell’innovazione tecnologica. Come ci ricorda Victor Hugo, nulla è più irrestibile di un'idea il cui tempo sia giunto. Per cui sì, sono ottimista. Avrò anch’io una macchina che si guiderà da sola.

Sabato 16 ottobre siamo stati a ItaliaCamp o meglio, per essere precisi, al primo dei quattro barcamp organizzati per portare in giro per l'Italia il progetto.
La LUISS era strapiena, poco meno di 1.300 iscritti (un numero che è oggettivamente un successo), aula magna affollatissima. Avrei da fare delle critiche sui tempi e modi della sessione plenaria ma non è questo il momento: quello che voglio annotare qui e l'avvilimento che mi ha preso mano a mano che si susseguivano gli interventi della sessione che ho seguito: Innovology.
Mi aspettavo idee magari folli ma appassionate, un guizzo di entusiasmo, uno salto verso qualcosa fuori della portata, e invece nulla: una sequenza di brutte, bruttissime slide, presentate anche piuttosto male ad un platea ed un comitato scientifico via via più distratti e meno convinti. Ho assistito alla presentazione (parola grossa) di progetti dalla vista corta e dalle ambizioni quasi nulle, presentazioni terminate con una imbarazzata questua da poche centinaia di migliaia di euro. Qualcuno aveva parlato di Venture Capital? La presenza di Gianluca Dettori e Salvo Mizzi di WorkingCapital nel comitato scientifico può aver tratto in inganno? Francamente non credo: il bando di ItaliaCamp è piuttosto chiaro, magari non chiarissimo nel farci capire cosa succederà a concorso finito ma certo non da trarre in errore in questi termini.
Ho capito male io o si parlava di "idee per il paese", quelle idee innovative che dichiariamo sempre di avere e per le quali ci lamentiamo di non avere attenzione alcuna? E' un'idea per il paese l'ennesimo fantaprogetto per le scommesse online? E' un'idea per il paese produrre PC domestici che sembrano cappelli da pioggia per l'uomo di latta? E' un'idea per il paese organizzare il centesimo social-network per consulenti di PNL? Francamente credo proprio di no.
Sinceramente mi sono un po' vergognato per chi è salito sul palco. Non so come abbiano potuto regolarsi i membri del comitato scientifico - unico a dichiarasi in difficoltà Alex Giordano che pure mi sfugge a che titolo fosse nel comitato - alcuni dei quali si sono mostrati entusiasti per la bontà dei progetti presentati ed imbarazzo (!) nello scegliere il migliore. Lo dico con sconforto: se questi sono i giovani, se queste sono le loro idee per il paese, siamo spacciati.