Il virtuale non si contrappone al reale ma all'attuale: virtualità e attualità sono solo due diversi modi di essere (così iniziava un libro datato 1995 dal titolo Il Virtuale di un certo Pierre Levy).
Quale sia stata la frase di battesimo di MAPLE, all'inizio degli anni ’90, non è dato saperlo.
Forse una delle tante combinazioni di quello che potrebbe essere un acronimo, M.A.P.L.E., potrebbe suggerire una risposta, reale o virtuale non importa, sicuramente digitale. Molteplici Approcci Per Lavori Eclettici, intendendo in questo modo un'insieme di più metodi e visioni del lavoro, ma anche Misteriose Attività Per Linguaggi Enigmatici, tutto quello che riuscite a vederci voi, che poi è il concetto che conta.
Perché MAPLE è un concetto che non può comprendere se stesso, come diceva Adorno "quando un concetto è compreso, ovvero quando è racchiuso dentro l'ordine concettuale, è un concetto morto", e MAPLE è in continuo movimento, in continua ridefinizione, cambia alla velocità della tecnologia, si aggiorna e la aggiorna.
Dov'è l'innovazione, dov'è la tecnologia, ma soprattutto dove va?
Se avete la sensazione di esservi persi qualcosa negli ultimi anni perché "siete andati a letto presto" MAPLE, rimasta sveglia per voi, sottotitola un breve riassunto delle puntate precedenti.
Aspettando il seguito, si chiede insieme a voi in questo blog cos’è il Real Digital, sperando che nessuno abbia una risposta che esaurisca, uccidendolo, il concetto.
Ma che lasci una permeabilità tra domanda e risposta, permettendo al concetto di rimanere liquido, come il delizioso Maple Syrup che potrebbe essere anche la golosa, origine, di tutto.
Gratis è bello, gratis è buono, gratis è libero. Però nulla e gratis davvero, e Wikipedia non è da meno. E' qualche anno che vado sostenendo che sul web il modello del "tutto gratis" è destinato a scomparire. A scomparire perchè è fisiologico, a scomparire perché in fine dei conti è giusto che così sia. Ogni servizio ha un costo di produzione e sul web non valgono regole diverse da altri ambiti, anzi. Anche ammesso di poter contare su una base di contributors volontari, i costi di infrastruttura sono sempre pesanti. Può pagare tutto la pubblicità? Forse, ma non paghiamo anche quella?
Jimmy Wales, il fondatore di Wikipedia ha rotto in qualche modo un tabù e l'ha fatto con chiarezza e senza giri di parole. Potremmo discutere a lungo su cosa sia diventata Wikimedia oggi (me lo chiedo da un po'), se e quanto sia attendibile (in molte voci, poco), se il suo modello di funzionamento e di sviluppo necessiti o meno di essere ripensato (secondo me si, e prima possibile), però almeno ora è chiara una cosa: volere cammello, pagare pecunia.
Pochi pagheranno e molti ne usufruiranno? Fa parte del gioco. E l'idea mi piace molto, perché l'introduzione di un "prezzo" del servizio da il diritto, virtuale certo più che sostanziale, di pretendere una maggiore qualità. Pochi dollari, pochi euro l'anno, sono un peso insignificante per il singolo utente ma possono rappresentare ossigeno, sprone e motivazione per lo sviluppo di servizi di valore. Sinceramente, rimpiango spesso i 19 dollari e novanta al mese che spendevo tanti anni fa per l'abbonamento a CompuServe e sarei ancora ben disposto a spenderne per servizi di pare qualità.
Per come la vedo io, modello e regola potrebbero valere tanto per il forum di quartiere che per il quotidiano nazionale, per il club del pizzo a tombolo come per il blog di pinco pallino. Dopo il "pay-per-view" della partita di calcio, lancerei un "pay-per-gratis": soldi forse anche meglio spesi.